Segnalazioni

Palermo e la cultura: "Sempre più evento, ma sempre meno sentimento..."

Il Teatro Massimo

Riceviamo e pubblichiamo

Quello del rapporto tra Palermo e la cultura è sempre stato un argomento pieno di inside ed affrontarlo significa avventurarsi sul terreno cedevole della polemica, spesso strumentale, che coinvolge chi essa è chiamato a promuovere e salvaguardare e chi, di contro, è destinato a goderne. Non si può negare che negli ultimi anni la cultura è stata trasformata da simulacro di potere, oggetto di elargizione appannaggio di potentati o semplice strumento di propaganda di una buona amministrazione ad oggetto di fruizione ed ammirazione di cittadini e turisti. Difficile trattenersi dal sussulto di orgoglio nell’incrociare gli occhi meravigliati e stupefatti dei turisti che, percorrendo i tanti itinerari che attraversano la città, ne esaltano la sua bellezza selvaggia ed oltraggiata offrendole il massimo tributo, quello che non necessita di parole per descriverne la magnificenza.

Pare di esserci innamorati a tal punto del binomio tra Palermo e la cultura da affiancare le due proposizioni in quello che, per la città e per chi l’amministra, rischia però di divenire un abbraccio mortale. Perché “Palermo capitale della cultura” ha ben presto trovato la sua nemesi nella realtà di una città che appare lo specchio deforme di ciò che essa, nelle ottimistiche intenzioni di chi la promuove come tale, è chiamata a rappresentare Troppo facile affondare a piene mani nella cronaca cittadina quotidiana, ed ancor più in quella più recente, per attaccare l’amministrazione ed evidenziare tutte quelle lacune che rischiano di vanificare gli sforzi profusi nel donare alla città tutti quei tesori spesso nascosti ed ignoti ai suoi stessi cittadini. Le immagini dei rifiuti che imperversano durante i tardivi acquazzoni primaverili o quelli che, placidamente, stazionano agli angoli delle strade come soldati stanchi, potrebbero ben rappresentare i dardi che inchiodano l’amministrazione alle proprie responsabilità come un San Sebastiano alla colonna trasfigurato nel martirio.

Troppo spesso, infatti, quel sussulto di orgoglio è costretto a cedere il passo ad un moto di profondo imbarazzo per il degrado in cui versa la città e per l’abito che essa indossa nell’offrirsi a chi vuol ammirarne lo splendore decadente, foglia di fico per i problemi da sempre irrisolti di questa città. Dovremmo forse cominciare ad ammettere che quelli che appaiono come annosi problemi che affliggono la città con il tempo ne sono divenuti un tratto distintivo che ha contribuito a definirne l’identità, ne hanno profetizzato una inevitabile convivenza con le sue inestricabili contraddizioni: quelle di una città incapace di essere all’altezza dei tesori che nei secoli l’hanno arricchita. I cittadini, oggi, non sembrano diversi dai quei rampolli che, indolenti, sperperano il patrimonio nei secoli accumulato dai loro antenati perché i veri colpevoli del degrado che ovunque riaffiora oltraggiando i tesori non sono solo gli “altri”, quelli che devono amministrare, ma sono principalmente coloro che ne rivendicano il godimento ma che, per far ciò, sono tenuti a tutelarli e proteggerli.

Sono coloro che in essi dovrebbero trovare ispirazione, stimolo all’esercizio del confronto con una tale e diffusa bellezza che possa educarci alla sua imitazione in ogni nostro gesto quotidiano. Forse, l’apparente ed irrisolta contraddizione tra l’idea della città come culla e capitale della cultura e l’immagine che di essa ne offriamo può essere risolta ove si comprenda come di essa ne propagandiamo un concetto evidentemente travisato. Cos’è del resto la cultura nella sua accezione etimologica se non una inesauribile crescita? Il termine evoca il richiamo all’impegno laborioso della semina, alla cura, allo sviluppo del proprio patrimonio di conoscenze e di quell’articolato sistema di comportamenti che racchiudono l’identità di un popolo da contrapporre a quella altrui nell’ottica di un reciproco arricchimento. Se questa è la cultura nella sua accezione più vera e profonda non vi è chi non giunga a considerare abusiva ed arrogante l’associazione ad essa del titolo di capitale per una città incapace di mostrarsi meritevole del patrimonio inestimabile che ha ereditato dalla propria storia.

Tutto ciò che i cittadini contestano all’amministrazione altro non è che un pericoloso boomerang che stigmatizza ed inesorabilmente condanna quei comportamenti che i cittadini stessi sono i primi a perpetrare nell’impunità morale collettiva, ben prima ed oltre delle evidenti lacune di una amministrazione che stenta a fronteggiarli. Grave responsabilità dell’amministrazione è, quindi, quella di aver propagandato l’idea che la cultura sia un brand, un evento, qualcosa di cui fregiarsi, la spilla da apporre all’occhiello, disconoscendo quanto di più profondo essa è chiamata ad interpretare.

Non servono, o almeno non bastano, gli eventi se ad essi non corrisponde una vera e propria crescita spirituale; lo stupore che accompagna lo sguardo rivolto ai tesori misconosciuti di questa città deve imporre l’impegno solenne di esserne all’altezza nei comportamenti quotidiani dei singoli così da annullare la contrapposizione dei siti alla città, degli eventi alla quotidianità, perché cultura non è altro che identità ed essa non può prescindere da un modo di essere, di vivere, soprattutto di crescere. Se c’è un limite alla Palermo capitale della cultura è proprio il mal compreso concetto di cultura, sempre più evento ma sempre meno sentimento.

Valerio Anastasio


Si parla di