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Coronavirus, lettera aperta di una studentessa: "Cara Italia, ce la faremo"

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di una studentessa, che racconta come sta vivendo l'emergenza Coronavirus

"Sono una studentessa, una delle tante che finora si era prefigurata un anno fantastico, un 2020 che avrebbe segnato la fine di un meraviglioso, quanto ripido, percorso scolastico. Una delle tante che avrebbe voluto sentir suonare l’ultima campanella per poter piangere, urlare e abbracciarsi con i propri compagni, divenuti ormai compagni di vita. Una delle tante che finora si è spesso lamentata della monotonia delle proprie giornate sempre uguali, dettate dalle solite abitudini, scandite da scuola, studio e tempo da dedicare agli amici, magari davanti un caffè. Sono una delle tante, e dei tanti, che ora più che mai sta iniziando a percepire, a toccare con mano, quanto sia importante qualcosa che, invece, si è sempre data per scontata, come la vita. Proprio questa ci è stata tolta da un giorno all’altro, assieme alla libertà, assieme alla serenità, alla tranquillità di uscire, di svagarci, divertirci, non pensare a niente. Non lo avrei mai detto che una cosa così bella, pura e genuina come lo stare assieme a chi vogliamo bene, potesse venirci vietata, potesse diventare letale, da un momento all’altro".

"L’orologio umano - scrive - per adesso è fermo: le lancette sembrano essere bloccate sempre sullo stesso orario, il loro ticchettare è diventato insopportabile, assordante quasi, perché ci preannuncia la fine di un’altra lunga giornata passata a sperare, sperare con tutte le forze che si hanno in corpo che tutto questo abbia presto una fine. La situazione che noi, noi non solo in quanto italiani, ma in quanto persone, stiamo vivendo è surreale. Persone che vengono denunciate se escono per portare a spasso il cane (e magari sgranchire le gambe), se troppo distanti dalla propria abitazione, file fuori i supermercati per procurarsi un po’ di cibo in vista di una nuova straziante settimana, uguale alle precedenti, mascherine sul volto di chiunque e sorrisi sempre nascosti. Anche se nessuno sorride più, siamo tutti un po’ tristi. Tristi di ciò che succede, tristi di non poter fare niente per cambiare la situazione, tristi di stare seduti su una sedia ad ascoltare tutti quei numeri, numeri di gente che quotidianamente non ce la fa, numeri di giorni da dover passare ancora chiusi in casa. L’unica cosa che ci resta da fare è non infrangere le regole, ubbidire quando ci dicono di non uscire se non per estrema necessità, preservando noi stessi e aiutando chi ci sta attorno, chi amiamo e chi ci vuole bene. E’ tutto un brutto incubo, dal quale speriamo di svegliarci, insieme, al più presto. Preghiamo per tornare alla nostra amata routine, alla normalità, cerchiamo lati positivi in tutto questo perché noi esseri umani siamo così: dobbiamo cercare uno spiraglio di luce anche quando attorno a noi domina il buio, soffocante e opprimente, cerchiamo il bene nel male per non lasciare vincere quest’ultimo. Quindi ci ritroviamo immersi fra duecentomila impegni, falsi e immaginari, facendo cose, in casa, che non ci saremmo mai sognati di fare, impiegando il nostro prezioso tempo in qualsiasi cosa ci permetta di fuggire per un solo attimo dalla tristezza di ciò che stiamo passando, per riuscire a sopravvivere e tenere duro ad un vortice che pian piano cerca di risucchiare la nostra vitalità. Noi giovani siamo stati costretti ad abbandonare per un po’ i nostri sogni e i nostri obiettivi, proprio noi, tutt’uno con internet, computer e smartphone, abbiamo la nausea di tutto, anche di questo. Ci manca poterci lamentare delle 6 ore passate tra i banchi di scuola, in cui, proprio in mezzo a quei banchi, avevamo comunque la possibilità di essere altrove con la mente".

E ancora: "Ci manca tornare a casa stanchi, dover studiare per l’interrogazione del giorno dopo, provare ansia che questa possa andar male l’indomani. Ci manca immaginarci tutti insieme lì, a Praga, dove avremmo smesso di pensare per 5 giorni di essere ormai arrivati alla fine di un percorso durato 5 anni, ma vissuto insieme. Siamo tristi, demotivati, non abbiamo sfoghi. Abbiamo dovuto, noi come tanti, crearci un nostro piccolo mondo fra le strette pareti di casa, troppo piccole per il flusso di pensieri che si fa sempre più forte giorno dopo giorno, durante questa straziante quarantena. Cerchiamo di vedere il bicchiere mezzo pieno, siamo giovani, siamo giovani che però, adesso, non sentono più il terreno sotto i piedi, niente è più come prima, è come se le nostre vite si fossero interrotte per un periodo di tempo non ancora definito. Abbiamo molte domande per la testa, ci chiediamo come possa finire tutto questo, quando avrà termine, cosa succederà dopo? La maturità quest’anno sarà più pratica che teorica, stiamo vivendo qualcosa di così grande che non potrà mai essere paragonato ad una banale prova scritta che determinerà un voto, siamo immersi in una situazione che dimostrerà realmente in cosa consiste essere maturi: non perdere la speranza, cercare la normalità nell’anormale, arrivare alla fine di una lunga e noiosa giornata essendo felici del fatto che tutti i nostri cari, i nostri amici, i nostri parenti, stiano ancora bene. Questa è una delle dimostrazioni che serviva a noi uomini per persuaderci che nulla è mai così scontato: tutto questo ci farà riscoprire il calore di un abbraccio, l’importanza di un amico, il valore del tempo, che non è mai abbastanza per nessuno, ci farà capire quanto ogni piccola cosa possa essere fondamentale nella vita di ognuno. L’attesa che questo tormento un giorno, spero non molto lontano, possa finire, è ciò che quotidianamente, mi fa alzare dal letto la mattina. I nostri cuori sono abitati dalla paura, ma un giorno torneremo a sorriderci, smetteremo di guardarci come fossimo nemici da tenere lontani. Ce la faremo, cara Italia".


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