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Mamma e medico nei giorni del Covid-19: "E' dura, ma basta poco a scaldare il cuore"

A colloquio con la dottoressa Marta Di Pisa, 45 anni, medico in servizio presso l’Unità operativa complessa di Gastroenterologia degli Ospedali riuniti Villa Sofia-Cervello, di Marina Fontana

"Anche io ho paura del Coronavirus. Ogni giorno che entro in ospedale, anche con tutte le precauzioni del caso, ho paura di infettarmi e tornando a casa di contagiare i miei bambini". Così inizia l’intervista la dottoressa Marta Di Pisa, medico gastroenterologo dal 2003 e in servizio presso l’ospedale Cervello di Palermo dal 2011, rispondendomi al telefono, dopo il suo turno di lavoro in ospedale. E' stanca ma sorride felice, dopo l’intervista finalmente potrà giocare con i suoi due bambini, un maschietto di anni 5 e una femminuccia di 10. Iniziamo:

Dottoressa, ci racconti di lei.

"Sono nata a Palermo. Finito il liceo classico mi sono iscritta in medicina e dopo 10 anni di 'studio matto e disperatissimo' mi sono specializzata in Gastroenterologia ed endoscopia digestiva. Ho anche due bambini e un pelosetto di nome Snoopy".

Che cosa l'ha spinta a fare il suo lavoro?

"Più che altro… Chi mi ha spinto a fare questo meraviglioso lavoro: la mia pediatra. Aveva un sorriso contagioso e, con i piccoli pazienti, era dolcissima. Ogni volta che andavo da lei la guardavo estasiata. Avevo 7 anni e mi ero promessa che un giorno avrei fatto il dottore. Così, 12 anni dopo, ho iniziato questo percorso ed esame dopo esame ho amato la medicina sempre di più".

Con che spirito entra per ora in ospedale e come è cambiato adesso il suo lavoro?

"Sono cambiate tante cose dall’inizio di questa pandemia. E non solo dal punto di vista organizzativo, avendo sospeso le prestazioni ambulatoriali e i ricoveri programmati non urgenti. Quanto soprattutto dal punto di vista emozionale: pur lavorando con la passione di sempre, personalmente nutro un pizzico di preoccupazione che a tratti mi demoralizza. Per fortuna solo brevi attimi ma mi mancano gli abbracci, le pacche sulle spalle, i briefing mattutini. Gli occhi, sopra quelle mascherine, parlano più della bocca".

Dobbiamo avere paura del coronavirus?

"Più che paura, dovremmo avere maggiore consapevolezza di trovarci di fronte un nemico invisibile contro cui non esiste ancora né un vaccino né una terapia specifica, ma solo protocolli sperimentali che stanno dando però buoni risultati. Dovremmo capire, tutti, che ad oggi l’isolamento sociale è l’unica arma efficace. E credo che, almeno la gran parte dei siciliani, l’abbia capito".

Come è cambiata la tua vita e come vivi il tuo contatto con possibili ammalati positivi"

"Il mio lavoro mi ha da sempre insegnato che la vita è un dono e noi non ne siamo i padroni in assoluto. In tutti questi anni, di persone che non ce l’hanno fatta, ne ho viste tante e spesso porto le loro storie dentro me. Giovani, meno giovani. Anche bambini. E non ci si abitua mai. Ma gli insuccessi, i rischi, fanno parte del mestiere per quanta attenzione, professionalità e impegno ci possa mettere in tutto quello che faccio. Quello che però mi preoccupa di più, oggi, è il rischio di morire da soli, senza la possibilità di un ultimo saluto, un ultimo abbraccio".

E' preoccupata per i suoi bambini e per i suoi familiari?

"Certo che lo sono. Convivere con due bambini e una mamma di 80 anni è una grande responsabilità perché vivi con la costante paura di poter essere l’untrice. Gli occhi di mia figlia, gonfi di lacrime perché ogni volta teme di non vedermi rientrare, mi pesano dentro come un macigno. Ma resto un medico e, in quanto tale, non posso esimermi dall'andare in corsia, ovviamente seguendo tutte le accortezze in termini di protezione e di igiene".

Da mamma oltre che da medico come spiega agli altri genitori l’ordinanza del Governo che dice sì alla passeggiata a determinate condizioni?

"Da medico, come ho già detto, ribadisco che l’unica arma dimostratasi efficace è l’isolamento. Purtroppo è risaputo: uno spiraglio di luce può rischiare di far abbassare la guardia. E, in questo momento così delicato, non possiamo permetterci alcun passo falso. Da mamma, a malincuore, non cambio idea, nonostante mi costi un po’. Il mio piccolo, da 2 anni, soffre di una forma di epilessia farmaco-resistente e, da quando è scoppiata questa pandemia, abbiamo dovuto sospendere i controlli che faceva a Milano e interrompere le sedute di psicomotricità. Per fortuna lui sta bene e i farmaci che assume (di cui uno fornito dietro piano terapeutico) sono facilmente reperibili. Ma non è semplice spiegargli, di volta in volta, perché non possiamo andare, a Milano, dalla sua dottoressa preferita o fare le attività con Manu (la psicologa). Dai bambini possiamo imparare la loro capacità di adattarsi velocemente alle nuove situazioni. In cambio dobbiamo solo infondere loro sicurezza e ottimismo. Ce lo ha insegnato, tra sorrisi amari, Roberto Benigni nel film 'La vita è bella'.

Come la guardano le persone sapendo che è un medico e che potrebbe essere stata in contatto con pazienti contagiati?

"Per fortuna ricevo continuamente tante testimonianze di vicinanza e affetto da parte di amici e conoscenti che, con una telefonata o un messaggio, esprimono gratitudine e tanta solidarietà. Gesti che, in un momento difficile come quello che stiamo vivendo, scaldano il cuore e ti danno una carica in più".

E lei come sta? Come la sta vivendo?

"Io sto bene. Nonostante il Coronavirus, la paura che mi porto dentro al pensiero di poter contagiare i miei cari, la tristezza nel veder spegnere tanti colleghi, io continuo ad amare il mio lavoro, con tutte le sue precarietà e le sue difficoltà. Quando mia figlia mi dice: 'Ma proprio il medico dovevi fare?', le rispondo che io, anche in un periodo difficile come questo, non potrei mai immaginarmi in un altro ruolo. E le auguro, qualunque cosa deciderà di fare da grande, di farlo con la stessa passione che io metto nel mio lavoro".

Vi chiamano "supereroi". Qual è il suo super potere e a cosa serve?

"Confesso che non mi piace essere chiamata supereroe o essere considerata tale. Per un semplice motivo: un eroe è un eroe sempre. Non te lo dimentichi mai. Non è un giorno un eroe e il giorno dopo un pusillanime. Chi oggi mi chiama 'eroe' è lo stesso che, due giorni fa, ha insultato e svilito la nostra professione. E probabilmente, passata l’emergenza, noi medici torneremo ad essere denigrati. La verità è che io, come la maggior parte degli operatori sanitari, ho sempre fatto il mio lavoro con la stessa passione e con lo stesso impegno. E continuerò a farlo, nonostante le mille difficoltà. Ma nessun potere speciale: semplicemente senza mai perdere l’entusiasmo e senza dimenticare il potere terapeutico di un sorriso".

Quanto è importante la collaborazione fra operatori sanitari?

"È fondamentale. Una guerra non è mai stata vinta dal singolo. E come accade nella maggior parte delle malattie, è l’approccio multidisciplinare quello vincente".

Quali sono secondo lei i comportamenti responsabili da adottare?

"Dobbiamo resistere. Se davvero apprezzate il nostro lavoro, se non volete vanificare i nostri sforzi, aiutateci ad aiutarvi. Non dovete chiudervi in casa ma sentirvi al sicuro a casa".

Ne usciremo e come ne usciremo?

"Certo che ne usciremo! Sarà un percorso lungo e, a tratti, ancora doloroso, ma se staremo 'uniti a distanza', ce la faremo. E mi auguro davvero che saremo tutte persone migliori".


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