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Il Ditirammu al Teatro Biondo, sul palco lo spettacolo "Luigi che sempre ti penza"

Dal 5 fino a domenica 7 ottobre alle 21.30 al Teatro Biondo (via Roma 258) va in scena "Luigi che sempre di penza", piccole cronache di un emigrante (in sette movimenti) di e con Gigi Borruso, fantocci ed elementi di scena Elisabetta Giacone, audio e luci Vittorio Di Matteo, consulenza musicale Antonio Guida e post produzione audio Roberto Agrestini. 

Lo spettacolo è promosso dalla associazione Ditirammu che realizza le proprie attività anche grazie ai contributi della Regione Siciliana - Assessorato Turismo, Sport e Spettacolo, Comune di Palermo. L’intensa e produttiva attività che il Ditirammu ha attivato da quasi trent’anni, unitamente a un ricchissimo programma di attività del 2018, al rinnovamento dell’assetto statutario e all’attivazione di una équipe di collaboratori esperti ha prodotto esiti brillanti nel 2018 con l’assegnazione di un contributo per attività teatrali da parte del Ministero per i Beni e le Attività culturali tramite il Fondo Unico Per Lo Spettacolo. 

Luigi che sempre ti penza è la pièce di Gigi Borruso forse più rappresentata dal 2007 a oggi. Rievoca, fra realtà storica e fantasia, l’esperienza di un contadino siciliano emigrato in Germania negli anni ’60. Le sue vicende e i suoi pensieri sono il frutto di testimonianze raccolte dall’Autore e delle suggestioni di un piccolo nucleo di lettere di emigranti tratte da Entromondo di Antonio Castelli, essiccata e vibrante ricostruzione di lingua e di umori contadini in via d’estinzione. Luigi è un Gastarbaiter, un “lavoratore ospite”. Questa definizione divenne in Germania, fra gli anni ’60 e ’70, sinonimo di immigrato italiano e pian piano assunse lo stesso valore dispregiativo che oggi da noi ha la parola extracomunitario. Gastarbaiter, Italiano. Forse così riconosciuto per ricordargli la sua precarietà. Ma Luigi è un personaggio fantastico, intreccia storie diverse, in modo libero, parla del suo e del nostro tempo.

“… Luigi che sempre ti penza è uno spettacolo che non vuole abbandonarmi e dopo centinaia di repliche, in Italia e all’estero, torna a Palermo a ottobre al Teatro Biondo, grazie al riallestimento del Teatro Ditirammu - spiega l’autore - Con “Luigi” sento la responsabilità e la felicità di un gesto politico e culturale, oggi, purtroppo, più attuale che mai. Con questo testo, narrando le vicende dei nostri emigranti degli anni ‘60, cercavo, fin dal suo debutto nel 2007, di aprire una riflessione dinanzi al buio dell’indifferenza e del razzismo montante verso il fenomeno delle migrazioni contemporanee, che iniziava a investire il nostro paese e l’Europa. Cercavo una risposta dinanzi allo spaesamento di una condizione del lavoro e dell’esistenza sempre più precaria, pari a quella di un “Gastarbeiter” degli anni ‘60. Tentavo di comprendere il fallimento di qualsiasi sogno di cambiamento, di riscatto, incarnato perfettamente dai nostri emigranti tornati in Sicilia, dove niente sembrava potesse mutare, dove “ti guardano male se pensi diverso”, dove poteva solo crescere il loro senso di estraneità. Perché, a differenza di quella specie di subcultura che si appella ciecamente all’identità, oggi dilagante, il migrante ha spesso maturato una consapevolezza che gli consente di guardare al mondo con occhi diversi, e pur nella fatica della sopravvivenza e nella marginalità del suo essere straniero ovunque, nella sua terra come in quella raggiunta, ha fatto una scommessa sulla vita e può guardarla con disincanto e con fiducia insieme. Egli sa che la terra e gli umani sono fatti per essere attraversati, conosciuti, amati perché sempre diversi, perché sempre un’occasione.

“Ho immaginato lo sguardo di quest’uomo, la percezione di sé in terra straniera. L’ho immaginato nella baracca del cantiere in Germania, intento a rimembrare a voce alta i sogni della notte trascorsa, a scrivere alla sua famiglia, impegnato inconsapevolmente a definire un’identità messa in crisi dalla paradossale condizione che sperimenta ogni emigrante… Da alcuni anni lavoro a un teatro che tenta di coniugare la consapevolezza etica con lo stupore fantastico e mitico. Accostandomi a un tema di attualità, per certi versi abusato, come quello dei migranti, ho lavorato ad una dimensione quasi fiabesca. Provando a ricreare un linguaggio, quale quello suggerito dalle lettere dei nostri emigranti, asciutto e straniato rispetto alle norme della lingua, concreto e polivoco a un tempo. Luigi parla una lingua che racconta di un’altra estraneità, di un altro esilio. Sospesa fra il siciliano contadino, la lingua italiana ed il tedesco: fra la lingua della terra, della famiglia e quella dei media, dell’autorità, del lavoro. Chissà che la fragilità della sua lingua non apra nuovi piani di senso? .... Luigi è desiderio di riscatto, nuovo sguardo sul mondo. Luigi gioca con il teatro, tenta di far luce sulla sua e sulla nostra esistenza. Il suo cammino in sette movimenti è pensato come progressivo svelamento interiore. Ci racconta dell’infinita migrazione di ogni uomo all’interno del suo animo, della sopravvivenza della speranza nella più struggente coscienza della perdita”.

Lo spettacolo nel 2010 si è arricchito di un epilogo che ci riconduce al presente. Qui Luigi, oggi più che ottantenne, ripercorre in controluce la propria esperienza dialogando con i migranti del nostro tempo, i “nostri” immigrati. Storie diverse si confrontano, portandoci avanti e indietro nel tempo, alla ricerca del senso della parola straniero


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