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"Arizona dream", il film con Johnny Depp sulle note di Iggy Pop al Teatro Santa Cecilia

Vincitore dell'Orso d'argento al festival internazionale del cinema di Berlino del 1993, "Arizona dream" potrebbe sembrare solo una stravagante commedia dell'assurdo non fosse che il regista, matto come solo i poeti sanno esserlo, affresca una storia tanto improbabile quanto incantevole che, tra risate e lacrime, racconta di sogni, illusioni, ambizioni, paure e sentimenti. E sarà proprio  "Arizona dream" il film, questo fine settimana, in programma per l’appuntamento della rassegna "Jazz on Movie... & Altro" della Fondazione the Brass Group, sullo  schermo del Real Teatro Santa Cecilia, domenica 10 marzo alle ore 18.00. 

Il protagonista è Axel Blackmar, Johnny Depp per l’appunto, un ragazzo un po' strano e goffo ma tenero, innocente e malinconico che, indeciso se vivere tra le convulsioni metropolitane di New York, gli spazi assolati dell'Arizona o la bianca desolazione dell'Alaska, si trova al centro di vicende paradossali, alcune delle quali con finale tragico, cui lo coinvolgono personaggi alquanto strampalati: lo zio Leo (Jerry Lewis) che vorrebbe raggiungere la luna accatastando auto Cadillac l'una sull'altra ma soccombe alla depressione, l'amico Paul (Vincent Gallo) che sogna di interpretare film che però detesta, la stravagante ma affascinante vedova Elaine (Faye Dunaway), animata da una smodata passione per il volo, e la figlia Grace (Lili Taylor) che coltiva la nevrosi di volersi reincarnare in una tartaruga ma cederà anche lei alla depressione.

L'opera scorre sghemba tra umorismo surreale e grande amarezza di fondo, piani espressivi antipodici attraverso i quali il regista bosniaco è come se volesse penetrare, ma furtivamente, quasi da clandestino, l'anima stessa dell'America. E così, tra pesci che volano nel cielo, tartarughe che si moltiplicano, sconfinati paesaggi desertici, ambulanze che volano sulla luna, amori sofferti ed una spiazzante altalena di sbotti di risa e ciglia umide, il film diviene metafora surreale e grottesca del sogno come unica via per affrontare il disagio del dover crescere e la sofferenza del vivere. E', insomma, l'America vista dagli occhi "altri" di un cineasta che appartiene ad una terra assai lontana e diversa.

L'atmosfera onirica è sottolineata dalla magnifica fotografia dello sloveno Vilko Filac e da una policroma e rutilante colonna sonora curata da Goran Bregović, i cui accesi ritmi balcanici si mescolano all'abrasiva voce di Iggy Pop, la leggendaria "Iguana" del rock, a languide e sensuali canzoni latino-americane ed al raffinato swing della mitica chitarra tzigana di Django Reinhardt, espressione massima del cosiddetto "jazz manouche", da lui creato negli anni Trenta.


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