Cronaca

Sparatoria di via Nadi, la vittima: "Ha cercato di uccidermi senza motivo e si è rovinato con le sue mani"

Parla Emanuele Cipriano, scampato all'agguato teso dall'amico d'infanzia, Giacomo Cusimano, il 9 marzo allo Zen. Ieri è stato dimesso dall'ospedale: "Non capisco perché l'abbia fatto, non ci sono debiti né questioni di spaccio. Si è comportato da pezzente. Spesso mi disprezzava e mi aveva anche dato un pugno, ma io non ho mai reagito"

La polizia in via Nedo Nadi dopo la sparatoria

"Con lui ho chiuso, l'unica cosa che gli chiederei è cosa ha risolto così, visto che ha rovinato me e la sua famiglia, compreso suo figlio piccolo". Emanuele Cipriano, 32 anni, colpito con tre colpi di pistola in via Nedo Nadi, allo Zen, il 9 marzo scorso, non sembra avere alcun desiderio di vendetta rispetto all'amico d'infanzia, Giacomo Cusimano, che ha premuto quel grilletto e che si trova adesso agli arresti domiciliari con l'accusa di tentato omicidio. La vittima dell'agguato, che ieri pomeriggio è stata finalmente dimessa dall'ospedale - "ma ho ancora un proiettile in corpo", rimarca - racconta a PalermoToday di non riuscire a darsi una spiegazione per il gesto dell'indagato.

"Nessun debito, nessuna questione di spaccio"

"Non c'è nessuna questione di droga e nessun debito, neppure di 10 euro - sottolinea Cipriano - davvero non capisco neanche io cosa gli sia passato per la testa. Avevamo avuto una discussione il sabato precedente (il 6 marzo, ndr) e mi aveva pure dato un pugno in faccia - racconta - ma io me la sono tenuta, non ho reagito e per me tutto era chiuso quel giorno". Invece Cusimano si era presentato con l'arma in pugno sotto l'abitazione di Cipriano e gli aveva sparato tre volte. Era stata la stessa vittima a riferire alla polizia che ad aggredirlo era stato l'amico d'infanzia. Un'accusa che ha ribadito nei giorni scorsi, quando è stato risentito dagli inquirenti in ospedale, dopo un delicato intervento.

Amici d'infanzia

Cipriano è un lavoratore, ha vissuto con i fratelli a Venezia per ben 12 anni: "Sono dovuto tornare a Palermo alla fine del 2019 - spiega - perché mia madre si è ammalata gravemente. Sono tornato qui per prendermi cura dei miei genitori". E ha anche ripreso i contatti con alcuni vecchi amici, tra cui Cusimano: "Da ragazzini facevamo parte della stessa comitiva - ricorda Cipriano - e abbiamo ripreso a frequentarci".

"Mi diceva che non valevo nulla, che ero poco serio"

Dal racconto della vittima non emerge nulla che possa spiegare il gesto dell'indagato: "Ho la passione per la meccanica - spiega - ed è capitato che abbia aggiustato il motorino di Cipriano, senza chiedergli nulla in cambio. Ma lui tante volte mi ha trattato male, mi disprezzava, dicendomi anche senza motivo che non valevo nulla e che non ero buono a niente. Capitava che mi chiedesse di uscire e magari a me non andava, ma subito lui mi diceva che ero inaffidabile, poco serio. L'ho aiutato in certe circostanze e alla fine...". Alla fine quello che sembrava essere un amico si è presentato da lui e gli ha sparato.

"Si è comportato da pezzente"

"Un raptus, chi può dire cosa passa per la testa di certe persone - afferma Cipriano - magari ha dei problemi suoi e se l'è presa con me. Oppure è una questione di arroganza, lui pensa forse di dovere avere ragione per forza, anche quando ha torto. Non so cosa abbia voluto dimostrare, il suo comportamento è stato veramente da persona meschina, da pezzente. Una persona corretta, leale, umile, dialoga con gli altri, se c'è un problema cerca una soluzione - dice la vittima dell'agguato - e se proprio si deve arrivare ad incrociare le spade bisogna farlo appunto ad armi pari, non che vieni lì e mi spari".

Il silenzio dell'indagato

Cipriano e la sua famiglia si sono rivolti all'avvocato Antonio Turrisi, in quanto vittime della sparatoria. Cusimano (che era stato rintracciato poche ore dopo l'agguato in piazza Croci) è difeso dall'avvocato Giulio Bonanno e finora non ha mai fornito una sua versione dei fatti. Si è pure avvalso della facoltà di non rispondere davanti al gip Simone Alecci che il 12 marzo gli aveva concesso di andare ai domiciliari, purché fuori da Palermo.

Il movente misterioso

L'inchiesta è coordinata dal sostituto procuratore Andrea Fusco e l'ipotesi di un regolamento di conti legato allo spaccio di droga era una di quelle avanzate dalla squadra mobile nella primissima fase dell'indagine. Poi erano saltati fuori alcuni messaggi Whatsapp che, secondo l'accusa, dimostrerebbero che la sera prima della sparatoria ci sarebbe stata una discussione tra Cusimano e Cipriano. Forse per un appuntamento mancato, forse - dicono gli inquirenti - per un debito di appena 10 euro. E' la vittima stessa oggi a spiegare a PalermoToday di non avere idea di quale possa essere il movente che ha armato la mano dell'indagato.
 


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