Cronaca

L'incubo di uno chef palermitano in Olanda: "Coronavirus mi ha aggredito reni e intestino"

Da quando quel tampone ha dato esito positivo per il 44enne Lucio Sciortino, che da più di 5 anni vive nella città dell'Aia, è iniziato il dramma. "I sintomi di questo mostro invisibile cambiano da persona a persona. Ero piegato in due, la mia unica luce una finestra su un giardino verde"

Lucio Sciortino

Quella finestra che si affaccia sul giardino verde, immerso in un bosco per ora spoglio che presto si colorerà di rossi tulipani, è il suo unico varco sul mondo. Da lì intravede solo alcuni tavoli per ora troppo vuoti, le mura color castagna della clinica dove da 17 giorni per lui il tempo si è fermato e una volante della polizia a ricordargli che non si può andare oltre. Da quando quel tampone ha dato esito positivo, per Lucio Sciortino, chef palermitano di 44 anni che da 5 anni e mezzo vive in Olanda, nella città dell'Aia, è iniziato un incubo da cui solo negli ultimi giorni sembra che si stia svegliando. 

 "Quel mostro invisibile - così lo racconta a PalermoToday, sdraiato sul letto della clinica, dopo aver finito la terapia - è diverso da persona a persona. Nel mio caso, non ho avuto né tosse né febbre, come accade nella maggior parte dei contagiati. A me ha aggredito intestino e reni". A contagiarlo sarebbe stata la sua migliore amica, appena tornata da un weekend ad Amsterdam. "Trascorriamo molto tempo insieme. Lei all'inizio era asintomatica. Si sapeva ancora davvero poco sul Covid-19, i casi erano sporadici. Poi improvvisamente le è venuta la febbre alta, accompagnata dalla tosse. Mi ha chiamato dall'ospedale in cui è stata ricoverata e in cui è andata in terapia intensiva per 5 giorni. Le hanno chiesto di ricostruire il quadro delle persone con cui era entrata in contatto. Poi nei giorni successivi ho iniziato a non stare bene, non potevo immaginare che quei sintomi potessero essere riconducibili al virus". 

Lucio ricorda bene quel mal di testa improvviso che gli ha rubato il sonno, il sudore sempre più forte nella notte, i crampi addominali e la diarrea. "Nelle prime due settimane la notte non ho chiuso occhio. Avevo pressione sanguigna e battiti cardiaci altissimi ed ero piegato dal dolore per le coliche. I sintomi cambiano da persona a persona, ecco perché è difficile trovare la combinazione giusta di farmaci". E di farmaci, da quando è iniziato il suo calvario, Lucio ne prende ogni giorno davvero tanti. La prima terapia, una iniezione, arriva puntuale alle 8.30 del mattino. Quei medici e infermieri di cui, tra tute, guanti, mascherine e copricapo, riconosce appena il volto, entrano nella sua stanza ogni due ore per misurargli febbre e pressione. Al mattino, dopo la colazione, coperto dalla testa ai piedi proprio come gli angeli col camice bianco che si prendono cura di lui, viene chiuso in uno stanzino mentre sanificano la sua camera. Lenzuola e vestiti vengono lavati ogni giorno. L'unico ristoro sono le chiamate e videochiamate con i suoi amici e la sua famiglia. Quel mix micidiale di cure per l'ebola, la malaria, l'Aids e i problemi renali e intestinali, viene ripetuto 4 volte al giorno. L'ultima terapia arriva alle 22.30. "Eppure - dice - sono fortunato perché non ho avuto polmonite e problemi respiratori". Poi quando il mal di testa i pensieri si affievoliscono, prova a lasciarsi trascinare dal silenzio della notte. 

"Se il sistema sanitario olandese è il top in Europa - racconta ancora - in un primo momento neanche qui, come in altri Paesi, si è capita la gravità della situazione. In 2 settimane ci sono stati 10 mila contagi e oggi i provvedimenti sono molto più duri. Tutti devono stare a due metri di distanza, sul tram una persona ogni due posti, ma non c'è ancora il lockdown". Da quando la sua casa sono diventate le fredde pareti bianche di quella stanza, ha visto andar via otto persone. C'è un'immagine però ben scolpita nella mente ed è il doloroso addio a distanza di una madre e una sorella a un giovane figlio e fratello di 38 anni. "Mi sembra ancora di sentire quella grida di disperazione. L'impossibilità di vedere il corpo della persona cara è un dolore immenso che deve far riflettere tutti, soprattutto tutti quei giovani che dal Nord Italia hanno deciso di prendere un volo o un treno per tornare in famiglia, non pensando al male che avrebbero potuto fare anche ai propri cari". 

Eppure di momenti difficili Lucio ne ha vissuti tanti. "Ho avuto un incidente con l'auto e uno con la moto. Ho rischiato davvero di morire. Mi hanno fatto due operazioni. Mi hanno impiantato cinque placche al titanio sul volto e ho subito due interventi di chirurgia plastica. Il mio viso non è più tornato come prima. Eppure questo mostro invisibile fa più paura. Non lo conosci, non lo vedi, non sai bene cosa temere. Questo virus è strano, oggi stai bene e domani hai una ricaduta". E a quella speranza e quella vita a cui è fortemente aggrappato, Lucio spera di poter tornare presto. "Sto meglio, negli ultimi giorni non ho avuto più crampi ma solo qualche piccola colica e un po' di mal di testa. Perché tutto torni alla normalità per tutti ci vorrà tempo, molto tempo. Ma io nonostante tutto sono ottimista e so che, se tutto andrà bene, potrò ricominciare la mia vita normale qui, tra le tagliatelle e i fornelli". 

Il suo pensiero più forte è rivolto però alla sua famiglia. "I miei genitori hanno quasi 77 e 79 anni e alcune patologie. Sono felice di non aver neanche mai pensato di rientrare quando le cose stavano iniziando ad andare male. L'ho fatto anche per loro e lo rifarei mille volte. La cosa più brutta che ti possa capitare è non sapere se vivrai o meno o se vivranno o meno le persone che ami. Questo pensiero ti toglie la pace e ti fa capire quanto sia importante la vita". 


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